In questo blog troverai articoli nei quali parlo di pedagogia, con particolare attenzione al pensiero di Maria Montessori, alla crescita personale e alla genitorialità.
Unisco i miei studi, il mio percorso formativo e la mia esperienza per divulgare un’idea di pedagogia che possa portare adulti e bambini ad essere maestri di sè stessi.
Insegnanti
Eccoci di nuovo ad affrontare il tema dei compiti per casa alla scuola primaria.
Nel precedente articolo che parlava di compiti per casa (lo puoi trovare qui) avevo lasciato aperto uno spunto di riflessione.
Oggi vorrei partire facendo un passo indietro.
È corretto dare i compiti a casa? Si? No? Sempre? Qualche volta?
Credo che invece di rispondere a queste domande, sforzandosi di avere un’idea assolutista sulla questione, sia più opportuno riflettere in modo ampio partendo da una domanda molto semplice ma che può aprire varchi interessanti: qual è lo scopo?
Questa domanda è fondamentale per capire dove vogliamo arrivare con il nostro agire. È differente dal chiedersi il perché.
Chiedersi quale sia lo scopo permette di andare più in profondità.
E allora: qual è lo scopo dei compiti per casa?
Generalmente l’idea di base è che i compiti vengono assegnati perché gli alunni hanno bisogno di metabolizzare un argomento, di sviluppare autonomia nell’apprendimento. I compiti servono ad esercitarsi, a porsi nuovi interrogativi stimolando la curiosità e l’interesse. Permettono di sedimentare i concetti base per dare la possibilità poi di scegliere se e quali argomenti approfondire.
In questi termini, sembra lodevole lo scopo di un compito per casa. Ma chi è il soggetto in questione? Chi è posto al centro? Il compito.
Il passo da fare, dunque, è un altro ancora: è necessario porre al centro il bambino. Poniamoci di fronte all’idea dei compiti dal punto di vista del piccolo. Non sto parlando semplicemente del “ho voglia/non ho voglia di fare i compiti”. Proviamo a riflettere sul significato che il compito può avere per lui.
Avere la maestra che dice “per domani fai questo, questo e questo” può veramente alimentare il suo interesse ad apprendere?
Perché è questo il motore di tutto. L’interesse.
Spesso il tempo della mattinata a scuola corre veloce, perciò non si riesce a lavorare in modo approfondito sulle varie tematiche e, per questo, l’insegnante sceglie di delegare parte del lavoro al pomeriggio. L’ho fatto io stessa da maestra.
Se osservavo bene la situazione, però, mi accorgevo che non era un’esigenza dei bambini avere del lavoro da svolgere a casa, bensì una mia necessità di “andare avanti”, di “non perdere troppo tempo” al mattino.
Probabilmente la faccenda cambia se ci si trova in una scuola a tempo pieno. Ma non è questo il punto.
Dove voglio arrivare? A stimolare una riflessione.
Non c’è risposta giusta o sbagliata.
C’è il porsi domande, l’interrogarsi su quale sia lo scopo che ci spinge a prendere determinate decisioni e agire di conseguenza, mettendo sempre al centro il bambino con i suoi bisogni.
E tu, cosa ne pensi?
Adulto educatore
La mia avventura scout è iniziata quando avevo otto anni e mi ha accompagnata, con alti e bassi, per vent’anni della mia vita.
Ad un certo punto nella mia strada ho incontrato la filosofia di Maria Montessori. Non ricordo bene quando e in che modo, so che l’interesse è stato un crescendo.
Andavano avanti in parallelo: lo scoutismo e l’interesse per il metodo Montessori. Finché un giorno si è accesa una lampadina che mi ha fatto notare quanta affinità ci fosse tra i due movimenti.
I parallelismi sono notevoli e riconosciuti dagli stessi fondatori: Baden Powell dichiarò esplicitamente di essersi ispirato alle idee sul lavoro infantile espresso dal metodo della Montessori e quest’ultima, a sua volta, espresse ammirazione verso il movimento scoutistico.
Oggi mi voglio soffermare sul concetto di osservazione e come sia trasversale tra BP e Montessori.
“Il campo è la più grande occasione per il Capo per osservare le caratteristiche della personalità di ciascuno dei suoi ragazzi, rendersene conto e quindi prendere le misure necessarie per svilupparle; i ragazzi stessi dal canto loro acquistano le doti che formano il carattere, insite nella vita di un campo. È al campo che qualità come la disciplina, l'ingegnosità, l'arte di sapersela cavare in ogni circostanza, la fiducia in se stessi, l'abilità manuale, la tecnica pioneristica, la tecnica del pilotaggio di una barca, lo spirito di squadra, la conoscenza della natura ecc. possono tutte essere assimilate dai ragazzi sotto la guida allegra e simpatica di un Capo che li sappia comprendere. Una settimana di questa vita vale sei mesi di istruzione teorica in sede, per utile che quest'ultima possa essere”.
Osservazione consapevole del bambino in un ambiente adatto -che per BP è per lo più l’aria aperta, la natura.
Importanza della manualità, del fare da sé provando grande soddisfazione perché, dice, “In genere il ragazzo ha un'estrema fiducia nelle sue forze. Preferisce di gran lunga tentare da sé, anche se ciò può condurlo a commettere errori”. Non è forse quello che dice Maria Montessori quando sottolinea l’importanza dell’osservare il bambino in modo meticoloso e senza giudizio?
“... (il maestro) nel nostro sistema dovrà essere “paziente” assai più che un “attivo”; e la sua pazienza sarà composta di ansiosa curiosità scientifica e di rispetto assoluto al fenomeno che vuole osservare.”
E ancora
“Nessuna guida, nessun maestro potrebbe indovinare il bisogno intimo di un allievo e il tempo di maturazione a lui necessario: ma lasciando libero il bambino, tutto ciò, guidato dalla natura, ci viene rivelato” (Montessori)
Emerge forte e chiaro l’aiutami a fare da solo: richiesta più o meno velata che porge il bambino all’adulto.
Baden Powell e Montessori prevedono un educatore che comprenda e orienti i fanciulli al percorso di crescita, rendendoli partecipi e responsabili, attraverso lo strumento dell’imparare facendo.
L’adulto è una sorta di mentore. È colui che deve affascinare il bambino, che deve soddisfare le sue richieste di indipendenza. Lo scopo dell’adulto “non è tanto quello di impartire insegnamenti, quanto di risvegliare e sviluppare le forze spirituali” (M. Montessori).
“Prima di tutto dovete imparare ad osservare, direte che questo lo sapete fare o che non si può imparare. Ma pensate: guardare vuol dire fermarsi, osservare vuol dire permanere anche su ciò che non sembra interessante e non staccarsi appena si crede che guardando ci si sia fatta un’idea” (A. Scocchera).
È importante dedicare tempo all’osservazione. Esercitarsi per sviluppare un atteggiamento di empatia interiore e distaccarsi dai condizionamenti.
L’osservazione è l’abito dell’insegnante, un’abitudine per registrare la lenta e complessa costruzione dell’ordine interiore del bambino.
Saper osservare significa essere in grado di mettere in pausa il proprio giudizio, porre a tacere ogni bisogno di interrompere, dirigere o disturbare l’esperienza del bambino e limitarsi a guardare in maniera obiettiva, con l’attitudine dello scienziato.
Solo così potremmo cogliere le espressioni veritiere e più profonde dell’animo infantile, comprendere i reali bisogni ed interessi del bambino e offrire successivamente loro una risposta mediante la predisposizione dell’ambiente.
Fonti citate:
Montessori, M. (1999). La mente del bambino. Milano: Garzanti.
Montessori, M. (2017). Il segreto dell'infanzia. Milano: Garzanti.
Scocchera, A. (2001). Il metodo del bambino e la formazione dell’uomo. Roma: Opera Nazionale Montessori
Honneger Fresco, G. «Il Quaderno Montessori». https://www.graziahoneggerfresco.it/il-quaderno-montessori